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non ebbero simile figura in cielo: a dipendenza da un
legittimo punto del nascere! di cui cerca il peso su le
bilance d Ermete: a virtù di Figure celesti, imaginate a
capriccio da altrui, osservate da essa per mistero: a for-
za di cose, che non son nulla di sussistente o reale, qua-
li sono amendue i Nodi e la Parte della Fortuna: in fi-
ne, a dispetto del vero non trovato ma incontrato; non
a forza d arte, ma solo per caso di mille predizioni in
una sola, si vale per travestire il falso da credibile, e
persuadere il credibile come vero.
Che dunque merita questa professione, che ha per
ufficio d ingannar gli uomini in terra e infamar le stel-
le in cielo? Voi datele il Caucaso e l Avoltojo di Pro-
meteo se vi par che sia colpa molto maggiore far men-
zognero il cielo bugiardi i pianeti, e maligne le stelle,
che torre alla ruota del Sole una scintilla di fuoco, un
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raggio di luce per avvivar con esso le morte statue d
Epimeteo, e trasfonder loro nel petto anima e senso.
Io, per non entrar giudice a danno altrui, la rimetterei
al tribunale dell Imperadore Alessandro Severo, che
castigò Turino suo favorito, perchè con false promesse
vendeva la grazia del Padrone. Condannollo a morire
annegato dal fumo, gridando a gran voce il Trombetta:
Fumo punitur, qui, vendidit Fumum.
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AVARIZIA
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Che reo dell Ignoranza di molti è chi può giovare a molti con
le stampe, e lo trascura.
Uomo non v è, per cui mantenere più mal volentieri
si affatichi il Mondo e s adoperi la Natura, quanto chi,
non curante d altrui, vuole vivere per sè solo. Questi
anche nella sua patria è pellegrino, e in mezzo a popoli
solitario; ha sembiante d uomo, ma è una fiera fra gli
uomini, che così non meritava di nascere d altrui, come
non cura di vivere che per sè stesso.
Fra costoro non vi sia dubbio, se annoverar si debba-
no certi avarissimi ingegni, che i talenti d oro delle
scienze e dell arti, di che son doviziosi, vogliono che se-
co si sotterrino nel sepolcro, prima di lasciarne utile a
posteri con le stampe.
Che se per farlo altro stimolo non vi fosse che la gran
mercede di quell onorata memoria, con che dopo morte
immortalmente si vive:
An erit qui velle recuset
Os Populi meruisse, et cedro digna locutus,
Linquere nec scombros metuentia carmina nec thus?
Ma non v è questo solo allettamento che possa, v è
ragione più forte che debba persuadere il farlo: e questa
è il publico interesse, che trascurar non si può con iscu-
sa d essere poco curante del proprio. Tanto più, che la
Sapienza non si riceve dal Cielo, come dono che possa
perdersi in noi, ma come prestanza, perchè a successori
si renda. Sì che il farlo non tanto è Liberalità, quanto in
certo modo Giustizia. Si riceve come il lume dal Sole
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nell aria, perchè si trasfonda alla terra, e non si ritenga
invisibile ad altrui e poco utile a noi.
Dunque nel corso di tanti secoli avranno i nostri ante-
nati, solitarj, pallidi, smunti, vegliate le lughe notti, e
consumate non tanto l ore del giorno quanto i giorni
della lor vita, per cavarsi a colpi d ostinatissimi studj
dalle ricche miniere de loro ingegni vene d oro di nuo-
ve verità, e nuovi conoscimenti; e isponendole liberal-
mente, avranno fatto publica eredità il privato lor patri-
monio, perchè noi, ingrati a gli avoli, invidiosi de
nepoti, e il loro e il nostro avaramente sepelliamo?
Chi si inette in mezzo fra i nostri maggiori e quei che
verran dietro, e mira l esempio di quelli e l bisogno di
questi, non veggo come possa aver cuore per nega a
quelli l imitazione o a questi l ajuto. Che se il solo mie
le morte imagini di coloro, che ne publici maneggi di
pace o di guerra acquistarono nome di grandi, non può
di meno che non ci punga il cuore e non c invogli il de-
siderj di somiglianti imprese; in vedere ne libri espresse
al naturale le vive e spiranti imagini dell ingegno di
quell anime grandi che ivi a pro del mondo ancor vivon,
ancor parlano, ancor insegnano, può chi è rozzo non in-
vogliarsi d intendere, e chi sa non vergognarsi di tenere
avaramento nascoso ciò, che altri solo per commun gio-
vamento raccolse? Sume in manus indicem Philosopho-
rum (dice il Morale). Hæc ipsa res expergisci te coget. Si
videris quam multi tibi laboraverint concupisces et ipse
ex illis unus esse.
Pur è, disse Filone, la Sapienza un Sole, a cui non
può torsi lo splendore senza distruggerla. E l anime di
più alto intendimento, molti Platonici le formarono.
Simbole di natura col fuoco, cujus unius ratia fScunda;
seque ipse parit, et minimis crescit scintillis.
Che se a persuaderci non basta l esempio de maggio-
ri, si miri il bisogno de posteri; a quali è doppia crudeltà
negare ciò, che noi daremmo guadagno, ed essi ricevereb-
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bon con utile. Togliete dal mondo questa inviolabil legge,
che non si truova scritta ne marmi, ma si porta stampata
nel cuore, di fare che, come il nostro amore, così i nostri
beni discendano a posteri; non avete con ciò, senon di-
strutto il mondo, fattolo barbaro e selvaggio? Che se av-
venturosi ci pajon coloro, che a posteri di lor sangue tra-
mandano copiose rendite annovali, e stabiliscono con le
ricchezze che lasciano una felice fortuna al casato; qual
più preziosa e più stabile eredità può lasciarsi, che le do-
vizie della mente e i talenti d oro del proprio ingegno?
Rendite sono coteste, che nè sceman coll uso, nè si con-
suman col tempo, nè con le publiche o private rovine fini-
scono. Sempre vive, sempre intere, e sempre col primo
prezzo in colmo, ugualmente giovevoli. E di qui trasse il
secondo Plinio quel gagliardo motivo, con che persuase
ad un amico a lasciar per publico giovamento qualche
frutto de suoi lunghi e faticosi studj. Effinge aliquid et
excude, quod sit perpetuo tuum. Nam reliqua rerum tua-
rum post te alium atque alium dominum sortientur. Hoc
numquam tuum desinet esse, si semel cSperit .
Ma eccovi ciò, che questi sordidissimi avari sanno di-
re per lor difesa. lo non son debitore a veruno di quello
che è mio. Fatichino gli altri come me, troveranno da sè
ciò, che viltà è mendicare da altrui. Questa è pietà, non
rigore; amore delle Lettere, non odio de Letterati: con-
ciosiecosachè infingardi s allevino gl ingegni, quando
truovano in altrui ciò, che trar dovrebbero da sè stessi.
La necessità rende ingegnoso, e fa, che chi sarebbe sem-
pre scolare studiando l altrui, diventi maestro inventan-
do di proprio. Così si fanno gli Achilli, dando loro inte-
re le ossa de Lioni, perchè se le spezzino, e ne mangino
le midolle: così bravi notatori, abbandonandoli ove più
rapida è la corrente, perchè non tanto l arte, quanto la
necessità insegni loro ad uscirne.
Or non s avveggon costoro, che, quando ciò sia, le
Lettere staranno sempre su l cominciare? Se chi spese
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molti anni cercando, non insegna a veruno ciò che
trovò; chi viene dopo lui, quando anche sia ugualmente
sollecitò in cercare, ugualmente felice in trovare, non sa-
prà nulla di più: e quando faranno accrescimento di Let-
tere? Anzi il sapere ciò che altri trovò, fa trovare ciò che
altri non seppe. Servono a noi di principi quelle, che ad
altrui furono conseguenze; e di lì cominciamo noi a cer-
care, dov essi cercando finirono. La Sapienza, disse
Agostino, si dà non per ischiava, ma per isposa; e vuole
da noi successione e figliuoli: Hoc est, ingenii fructus, et
quosdam mentis partus, quos non tam libros, quam libe-
ros dicimus. E quando ella ciò non impetri, piange, non
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